Pubblico di seguito un articolo scritto il 12 novembre, il giorno dopo gli episodi di domenica scorsa.
Doveva essere la domenica di Inter-Lazio, di Atalanta-Milan e di Roma-Cagliari. E’ stata invece un’altra domenica nera per il calcio italiano, iniziata con la notizia della morte di un tifoso della Lazio in viaggio per Milano, Gabriele Sandri, 28 anni. Sarebbe stato il colpo partito dalla pistola di un poliziotto a uccidere il giovane: una morte assurda, un errore irreparabile, per il quale è necessario stringersi intorno alla famiglia della vittima e aspettare che sia fatta chiarezza su ciò che è accaduto di preciso nell’area di servizio sull’autostrada nei pressi di Arezzo.
Un tragico evento, che con il calcio c’entra poco, pochissimo. Eppure, al diffondersi della notizia qualcuno ha colto, con il pretesto della morte del tifoso, l’occasione per ricordare all’Italia intera che i tornelli fuori agli stadi, le trasferte organizzate vietate, le partite a porte chiuse e tante altre misure adottate dopo la morte dell’ispettore Raciti qualche mese fa’ non sono riuscite a fermare il fenomeno del tifo violento.
A Bergamo i tifosi di Atalanta e Milan prima attaccano la polizia all’esterno dello stadio e poi, dopo sette minuti di gioco, ottengono la sospensione della partita: un segnale forte, che indica come il peso degli ultras non si sia per niente scalfito dopo il “decreto Amato”. A Roma, il Viminale rinvia il posticipo tra Roma e Cagliari, ma ultras della Roma e della Lazio nei pressi dell’Olimpico assalgono due commissariati di polizia e mettono a ferro e fuoco le zone vicine allo stadio. Scene di vera e propria guerriglia urbana.
Anche stavolta assisteremo ai salotti televisivi che affronteranno il tema con le facce piene di falsa tristezza e indignazione di showman e conduttrici di trasmissioni basse e superficiali, e anche stavolta ascolteremo le tante dichiarazioni di “preoccupazione” e le tante richieste di “provvedimenti” da parte del mondo politico. Si continuerà a parlare della necessità di usare il pugno duro, di usare misure forti e di reprimere ogni violenza, volendo far finta di non capire quanto la violenza negli stadi sia frutto di un disagio sociale che ha ragioni che risiedono al di fuori del mondo del calcio e che provengono da un sistema economico che utilizza questo sport come valvola di sfogo, per incanalare altrove la rabbia e il malcontento di migliaia di giovani.
Andrea Pranovi
Andrea Pranovi
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